Un giorno, un uomo ricevette un messaggio. "Non puoi più fuggire", gli diceva, "di fronte al tuo compito di essere te stesso sino in fondo".
L'uomo lo attendeva da tempo, quel messaggio, e anche se talvolta aveva anelato che gli pervenisse, aveva poi fatto di tutto per sfuggirgli: cambiato identità, mutato dimora, addirittura alterato i tratti del suo volto.
Ora si trovava con le spalle al muro. C'era però qualcuno, lo sapeva, che poteva aiutarlo: un vecchio dagli occhi di ghiaccio dei cui poteri molti, con volti obliqui e parole spezzate, narravano magnificenze. Lo aveva visto alcune volte sulle banchine del porto e i loro sguardi si erano incrociati, fondendosi per un attimo.
L'uomo incontrò il vecchio alla radice del molo, intento a rappezzare una montagna di reti. Gli spiegò il suo problema. Forse lui conosceva una via di fuga?
Gli occhi di ghiaccio assentirono. Ed una voce, corrosa dal tempo, così gli parlò:
"Quel che tu chiedi ti costerà la tua anima. Sei disposto a cedermela? "
L'uomo esitò. Il prezzo era davvero altissimo. Poi, disse di sì. Senz'anima, pensò, la sua fuga gli sarebbe stata facilitata.
"Per fuggire il messaggio", gli disse il vecchio, "c'è un'unica via: raggiungere altre terre, altre dimensioni. Ti preparerò la strada questa notte. Vedi questo molo? Al calar del buio lo farò prolungare, per te, sino all'altra sponda. Dovrai correre, poiché essa è lontana e va raggiunta prima dell'alba".
Spentosi il giorno, l'uomo salutò per un'ultima volta il suo villaggio e, raggiunta la testata del molo, dove ammiccava una lanterna rossa, proseguì di corsa il suo cammino.
Ignorava come ciò potesse accadere. Una sorta di foschia, traforata ogni tanto da una luna storta e gialla come il cappello di un fungo velenoso, gli si spianava davanti spingendo a lato invisibili ostacoli. Il pensiero di doversi trovare a faccia a faccia con se stesso, nel grande occhio della verità - pensiero privo d'aria, di spazio e di respiro - dava alla sua corsa un impulso feroce. Correre lontano da sé significava fare come quei gabbiani neri che, con gemiti infantili, lo affiancavano a tratti nel cammino. "Oh, essere come loro inesistenti e fatui!" pensava l'uomo, piangendo forse di rabbia, di stanchezza o di rimorso: "Oppure con un'ala sola, come sono sempre stati i miei pensieri!".
Il molo pareva non avesse fine, la corsa termine, la notte aurora. Invece ecco, al primo margine dell'alba, comparire ad un tratto un lume.
E dietro al lume, alla fine della corsa, il suo villaggio, che lo guardava come se non lo avesse mai visto.
Di fronte a sé l'uomo vide a pochi passi, come in attesa, una figura inquietante e famigliare. Si avvicinò e la riconobbe.
Era lui stesso: vuoto e senz'anima.
Perché sempre, in fondo a ogni fuga, troviamo ciò che abbiamo fuggito. E sempre, nella fuga, perdiamo l'essenza di noi stessi.
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