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giovedì 4 luglio 2013

La voce di Barry White - Video

Barry White era un pezzo della cultura pop degli anni Settanta, e non solo della musica, complici l’importanza della discomusic in quel periodo, la sua dimensione fisica che lo rese familiare e inconfondibile e il vocione pazzesco ancora più inconfondibile. Morì a 58 anni dieci anni fa, per una complicazione renale seguita a una serie di problemi legati al suo peso. Le sue canzoni non hanno nel frattempo smesso di rimbalzare nelle discoteche di mezzo mondo, soprattutto nelle estati che portano nostalgie e “revival”. Queste sono le sue migliori otto canzoni scelte per il libro Playlist dal peraltro direttore del Post Luca Sofri.
Barry White
(1944, Galveston,Texas – 2003,West Hollywood, California)
Diciamo che “il tricheco dell’amore” non è esattamente il soprannome che uno sogna di ottenere da grande quando è ragazzino (soprattutto se è il tipo di ragazzino che a 17 anni lo arrestano per furto di Cadillac). Ma poi molti presero a chiamarlo più nobilmente “il maestro”. Fu unico e inimitabile, fece del suo vocione un’icona, riempie le piste delle discoteche immancabilmente ancora oggi, funziona sulle passerelle della moda, e intorta le ragazze se avete preparato una seratina.
I’m gonna love you just a little more, baby
(I’ve got so much to give, 1973)
Pare che lui non fosse tanto convinto di cantarla, prima: buffo che la lunga introduzione sembri riflettere nel suo mugugnare questa esitazione, fino a che a un certo punto dice “vabbè, la canto, andiamo” (in realtà parla di tutt’altro, naturalmente).
You’re the first, the last, my everything(Can’t get enough, 1974)
L’ingresso vero della canzone arriva dopo che lui ha borbottato per cinquanta secondi, ma quando arriva si alza dai divanetti anche mia nonna. Il giorno che Barry White decise di cantarla, erano 21 anni che l’autore cercava di piazzarla a qualcuno. E pensa un po’.
Can’t get enough of your love, babe(Can’t get enough, 1974)
Stesso trucco, trentacinque secondi di borbottio e poi quel ritmetto latino massacrante (lo stesso della cover di “Hey Joe” fatta da Willy DeVille) che agisce direttamente sulle rotule.

Fonte Il Post

 
 

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